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ASPETTI PSICOLOGICI COME CONSEGUENZE NEGATIVE DELL’INSONNIA: I disturbi dell’umore

I disturbi dell’umore sono disturbi emotivi e consistono in periodi prolungati di eccessiva tristezza, gioia eccessiva o entrambe.

Tristezza e gioia (euforia) fanno parte della vita di ogni giorno. La tristezza è una risposta universale dell’uomo alle sconfitte, alle delusioni e ad altre avversità. La gioia è una risposta universale al successo e ad altre situazioni incoraggianti. Un disturbo dell’umore è diagnosticato quando la tristezza o l’euforia sono troppo intense e persistenti, sono accompagnate da un numero predeterminato di altre alterazioni relative alla sfera dell’umore, e ostacola seriamente le capacità funzionali della persona. In tali casi, una tristezza profonda è definita depressione, mentre l’euforia intensa è definita mania. I disturbi depressivi sono caratterizzati dalla depressione; quelli bipolari sono caratterizzati da varie combinazioni di depressione e mania.

Nel caso dell’insonnia le conseguenze riguardanti l’alterazione dell’umore, se non causate da disturbi di altra natura, non sempre raggiungono una dimensione patologica ma rappresentano comunque una maggiore instabilità nelle reazioni agli stimoli esterni caratterizzata da particolare irritabilità.

LE FUNZIONI COGNITIVE COINVOLTE NELLE CONSEGUENZE NEGATIVE DELLA MANCANZA DI SONNO: la memoria

La memoria è una funzione psichica molto complessa che ha a che fare con l’immagazzinamento, ritenzione e recupero delle informazioni acquisite in precedenza e che richiede un’attiva rielaborazione dei contenuti piuttosto che una passiva ricezione di essi. Questo implica che il contenuto recuperato sia una ricostruzione, piuttosto che un’accurata e fedele rievocazione dell’informazione originaria. La memoria non è solo la somma di ciò che siamo consapevolmente in grado di ricordare, ma l’insieme dei meccanismi in base ai quali gli eventi passati influenzano le risposte future. La memoria è la capacità di mantenere le informazioni disponibili nel tempo. In ogni momento, grazie alla memoria abbiamo a disposizione le conoscenze e le abilità apprese nel passato, le intenzioni e i progetti da realizzare nel futuro, i dati e le idee per agire nel presente. La memoria consente di suddividere il tempo in segmenti distinti e costituisce un importante riferimento identitario. Quando conoscenze e ricordi sono condivisi, la memoria è un fondamentale strumento di identità collettiva che offre schemi di interpretazione e di comportamento e si mantiene attraverso la rievocazione ripetuta.

In particolare le tipologie di memoria che possono risultare deficitarie in seguito alla mancanza di un buon sonno sono la memoria di lavoro e la memoria episodica. La memoria di lavoro mantiene ed elabora le informazioni durante l’esecuzione di compiti cognitivi. La memoria di lavoro rappresenta il nostro presente. Essa inoltre ci aiuta a trasformare il passato in presente. E ad integrare il vecchio con il nuovo. Questa struttura di memoria però riesce a mantenere l’informazione per un periodo limitato di tempo.

 

La memoria episodica esprime esperienze vissute, ricordi, eventi cui si è assistito o partecipato, contiene informazioni spazio-temporali che definiscono dove e quando il sistema ha acquisito la nuova informazioni.

Tali aspetti sono stati verificati in uno studio di Fortier-Brochu e Morin nel 2014 dove sono state confrontate le performances tra individui insonni e un campione di controllo.

È importante sottolineare che eventuali deficit mnesici non sono generalmente di grave entità e, se non ricollegabili ad altre cause, sono tendenzialmente reversibili.

LE FUNZIONI COGNITIVE COINVOLTE NELLE CONSEGUENZE NEGATIVE DELLA MANCANZA DI SONNO: l’attenzione

Siamo esposti continuamente a così tante stimolazioni e informazioni provenienti dall’ambiente esterno che se le dovessimo elaborare tutte saremmo completamente sopraffatti dai nostri sensi. L’attenzione rappresenta il meccanismo in grado di selezionare, in base alla loro rilevanza, specifici stimoli su cui convogliare risorse cognitive escludendone altri, per questo si tratta una funzione cognitiva necessaria all’esecuzione di tutte le attività quotidiane e ricopre un ruolo adattivo importante per la sopravvivenza dell’individuo. L’attenzione è un costrutto misurabile e può diminuire per molte cause come la stanchezza, la noia o un’emozione improvvisa.

L’attenzione è una capacità multicomponenziale; Van Zomeren e Brouwer classificano le componenti dell’attenzione in due dimensioni: componenti intensive e selettive.

Per componenti intensive si intende qualsiasi processo cognitivo supportato da un’attivazione dell’individuo, la quale può aumentare o diminuire in base alle esigenze del compito; di questa dimensione fanno parte:

  • allerta (funzione base di attivazione dell’individuo). Un deficit di tale funzione consiste nella difficoltà da parte del soggetto di reagire prontamente agli stimoli;
  • attenzione sostenuta: capacità di mantenere livelli ottimali di attenzione nei confronti di uno stimolo o di un compito per lungo tempo. Un deficit di tale funzione consiste nella difficoltà nel mantenere l’attenzione su attività prolungate creando disagi a livello scolastico e lavorativo;

Le componenti selettive dell’attenzione hanno invece il ruolo di focalizzare le risorse cognitive su un insieme circoscritto di informazioni, poiché non tutte possono essere elaborate contemporaneamente e molte stimolazioni non sono rilevanti per la nostra sopravvivenza o per i nostri scopi; fanno parte di questo raggruppamento:

  • attenzione selettiva: capacità di focalizzarsi su uno stimolo mentre si escludono contemporaneamente altri dalla consapevolezza La situazione che costituisce un classico esempio di attenzione selettiva è rappresentato dal cosiddetto effetto cocktail party dove in una situazione in cui arrivano emissioni sonore da tutte le parti, siamo in grado di selezionare solo quelle provenienti dalla persona con cui stiamo parlando. Un deficit di tale funzione rende difficoltosa la selezione di stimoli necessari allo svolgimento dei compiti permettendo l’interferenza di stimoli distruttori;
  • attenzione divisa: capacità di distribuire le risorse mentali su più compiti eseguiti in contemporanea. Un deficit di tale funzione crea difficoltà nello svolgimento e nel compimento corretto di più attività nello stesso tempo.

È importante sottolineare che eventuali deficit attentivi non sono generalmente di grave entità e, se non ricollegabili ad altre cause, sono tendenzialmente reversibili.

PERCHE E IMPORTANTE AVERE UN SONNO SODDISFACENTE?

Quali possono essere le conseguenze negative diurne dell’insonnia secondo la Classificazione Internazionale dei Disturbi del Sonno (ICDS-2):

 

I sintomi si possono classificare in Classe A (conseguenze fisiche) e Classe B (conseguenze neurocognitive, psicologiche e comportamentali):

 

Classe A:

  • Fatica;

 

Classe B:

  • Difficoltà di attenzione, concentrazione o memoria;
  • Difficoltà sociali, relazionali o di prestazione scolastica o lavorativa;
  • Disturbo dell’umore/irritabilità;
  • Sonnolenza diurna con conseguente riduzione della motivazione, dell’energia e dell’iniziativa nelle attività di vita quotidiana;
  • Maggiore propensione a commettere errori o avere incidenti sul lavoro o sulla guida;
  • Tensione, mal di testa, in risposta alla perdita di sonno;
  • Preoccupazioni, paure e ruminazioni rispetto alla perdita di sonno.

IL SONNO: curiosità e falsi miti!

  • Il sonno è uno stato passivo: FALSO! È uno stato comportamentale così come la veglia e in quanto tale prevede una determinata postura del corpo.
  • il sonno è l’unico stato fisiologico che consente di innalzare una barriera con l’esterno: VERO!
  • Un buon sonno permette un buon funzionamento della memoria e delle altre funzioni cognitive: VERO!
  • Un buon sonno deve durare almeno 8 ore: FALSO! NON CATEGORIZZARE! Ogni essere umano è diverso e ha diverse esigenze… c’è chi può sentirsi riposato e non riscontrare difficoltà nella vita quotidiana con 5-6 ore di sonno e chi necessita di un riposo più prolungato.
  • Nel corso del ciclo di vita l’esigenza di sonno può modificarsi: VERO! Ad esempio con l’avanzare dell’età il bisogno di sonno tende a diminuire
  • Il sonno perso deve essere recuperato: FALSO! il sonno perso non si recupera e la durata del sonno non è dipendente dal periodo di veglia. Semplicemente il sonno successivo si dovrà ristabilire come in precedenza al periodo di veglia insolitamente prolungato, tenendo conto delle esigenze di ogni persona.

E LE INSONNIE SECONDARIE?

Ho già anticipato, nel post dove è evidenziata la differenza tra insonnie primarie e secondarie, quanto le seconde siano causate da altri fattori che in precedenza sono stati citati. Proprio i diversi tipi di elementi-causa delle insonnie secondarie ci permettono di fare questa ulteriore classificazione (Devoto A., Violani C., 2009):

  • Insonnia dovuta ad una nota condizione fisiologica, sarebbe determinata dalla presenza di un disturbo medico, o da un’altra condizione fisiologica quali ad esempio patologie polmonari e disturbi gastrointestinali, dolore cronico, patologie neurodegenerative (Demenza di Alzheimer), disturbi del sistema endocrino (es. disfunzioni ormonali), condizioni fisiologiche anche se non patologiche quali la menopausa o la gravidanza soprattutto nell’ultimo trimestre. Anche se in questi casi le difficoltà di sonno hanno una causa indipendente, affinchè sia diagnosticata l’insonnia secondaria è necessario che sia presentato un disagio rilevante da parte del paziente;
  • Insonnia indotta da un uso eccessivo di sostanze come farmaci, droghe o alimenti quali ad esempio alcol e caffeina. Degno di nota è il cosiddetto “effetto rebound”, dovuto allo sviluppo di una tolleranza a un farmaco, in tal caso è importante fare un riferimento particolare ai farmaci ipnoinducenti o ansiolitici. Di solito, infatti, dopo un determinato periodo di tempo di uso continuativo di un farmaco per curare l’insonnia, questo riduce progressivamente il suo effetto e la persona anche se lo assume non riesce comunque a dormire!
  • Insonnia dovuta all’effetto collaterale di un farmaco, che può verificarsi in seguito all’assunzione di farmaci per l’ipertensione, diuretici, corticosteroidei, broncodilatatori (ad esempio);
  • Insonnia dovuta alla presenza di un disturbo psichiatrico in particolare depressione, disturbi bipolari, disturbi d’ansia, attacchi di panico e altri. Quest’ultima tipologia di insonnia secondaria è quella più frequente (35-50%)

IMPORTANTE! Spesso nei casi in cui sono coinvolti sintomi o patologie di natura medica è sempre opportuno consultare gli medici specialisti

PERCHE INSONNIE PRIMARIE E NON INSONNIA PRIMARIA? CE NE SONO DI VARI TIPI? EBBENE SI!!

Le insonnie primarie a loro volta si suddividono in diverse tipologie. In particolare, secondo la Classificazione Internazionale dei Disturbi del Sonno del 2005 (ICSD-2) curata dall’American Sleep Disorders Association (ASDA) esisterebbero 5 categorie:

  • Disturbo di insonnia da adattamento, detta anche insonnia situazionale transitoria/acuta: è un insonnia di breve durata, dovuta ad una condizione di vita momentanea, in particolare ad una condizione di stress alla quale l’individuo, nella maggior parte dei casi, tende ad adattarsi con il passare del tempo. Si può presentare un’insonnia da adattamento quando si vive un lutto, un cambiamento lavorativo, un conflitto familiare, una nuova diagnosi medica, un cambio di abitazione o qualsiasi altro evento sia positivo che negativo;
  • Insonnia psicofisiologica, che è quella più comune, sarebbe determinata principalmente da due cause, ovvero la preoccupazione e la tensione dovute alla paura di non dormire e l’associazione tra la presenza di veglia e stimoli che sono presenti nell’ambiente di sonno (ad esempio questo può accadere quando ripetutamente il soggetto si ritrova a rimanere sveglio nella camera da letto alle 11 di sera dopo comportamenti tipici che di solito si mettono in atto per prepararsi al sonno). Se questa associazione persiste nel tempo la persona in situazioni simili farà sempre più fatica a prendere sonno;
  • Insonnia soggettiva, che è quella secondo la quale la persona si convince di soffrire di insonnia anche se sono assenti condizioni oggettive (rilevate da indagini specifiche come ad esempio riscontri polisonnografici) che lo dimostrano, cioè alterazioni rilevanti del sonno e conseguenze diurne negative;
  • Insonnia da inadeguata igiene del sonno, dovuta alle cosiddette “cattive abitudini” come fare sonnellini diurni, assumere sostanze eccitanti (caffeina) in quantità eccessive o in orari serali, orari di sonno irregolari ecc…;

Insonnia idiopatica che compare in età infantile e persiste in età adulta. In questi casi, pur essendo presenti alterazioni del sonno rilevabili in modo oggettivo, è difficile individuare una causa scatenante e le stesse persone che ne soffrono sembrano non accusare particolarmente il disturbo, quasi come se si fossero adattati ad esso.

LE INSONNIE SONO TUTTE UGUALI? DIFFERENZE TRA INSONNIE PRIMARIE E INSONNIE SECONDARIE

Come è possibile intuire dalle definizioni, nelle insonnie primarie, il disturbo del sonno si presenta indipendentemente da altre condizioni patologiche sia dal punto di vista medico che psicologico/ psichiatrico. Quindi in poche parole, l’insonnia esisterebbe a prescindere da qualunque altra variabile, anche se non ci fossero patologie (se presenti) e anche se non si assumessero determinati farmaci o sostanze (nel caso in cui si assumano). Questo non significa che nell’insonne primario non possa esserci una presenza concomitante di altre condizioni mediche o psicopatologiche ma le stesse non ne sono la causa, semplicemente “esistono insieme”: capita spesso, infatti, che chi soffre di insonnia primaria possa mostrare sintomi ansioso depressivi, ma non così gravi da poter soddisfare i criteri delle rispettive diagnosi di disturbi d’ansia o disturbi affettivi comunemente accettate dalla comunità medica.

Nelle insonnie secondarie invece, il disturbo del sonno è dipendente da un’altra condizione sottostante, quale un altro disturbo del sonno (come spesso accade), un disturbo psichiatrico, una patologia medica, un abuso di sostanze oppure può essere un effetto collaterale dell’uso di un farmaco. Le insonnie secondarie, a differenza delle insonnie primarie non sono quindi esistenti a prescindere ma hanno sempre un’altra causa. In quest’ultimo caso, infatti, è sempre importante rivolgersi a medici specialisti

COME L’INSONNIA HA A CHE FARE CON LA PSICOLOGIA?

L’insonnia, intesa in senso generico come difficoltà a dormire, implica in realtà una serie di aspetti, oltre che di natura fisiologica anche cognitiva e psicologica e i tre aspetti vanno di pari passo. L’insonnia, infatti è definita come uno dei più diffusi disturbi del sonno e all’interno della suddetta categoria è riportata con l’utilizzo di precisi criteri diagnostici nel DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali). Questo non deve terrorizzarci, ma farci capire l’importanza che all’insonnia è stata attribuita, soprattutto rispetto alla sua influenza su molti meccanismi di natura cognitiva e quanto essa possa avere a che fare con disturbi psicologici dai più considerati tra i più diffusi negli ultimi anni, quali ansia e disturbi dell’umore. Chi soffre di insonnia ha una reale difficoltà più precisamente:

l’insonnia è caratterizzata da insoddisfazione soggettiva  riguardo la quantità o la qualità del sonno, che si può verificare nelle seguenti fasi:

  • difficoltà a iniziare il sonno al momento di coricarsi (insonnia iniziale)
  • difficoltà a mantenere il sonno, con risvegli frequenti o protratti nel corso della notte (insonnia centrale)
  • presenza di risveglio precoce al mattino con difficoltà a riaddormentarsi (insonnia tardiva)

L’alterazione del sonno spesso compromette le normali abitudini di vita, comprendendo anche  effetti nelle ore diurne che frequentemente riguardano:

  • pensieri ricorrenti e preoccupazioni relative al sonno
  • maggiore affaticabilità
  • abbassamento del tono dell’umore e/o maggiore irritabilità
  • diminuzione della capacità di concentrazione con un possibile peggioramento nel rendimento sociale e lavorativo
  • sintomi fisici, quali mal di testa, fomicolii, stati tensivi, sintomi gastrointestinali

 

Affinchè si possa diagnosticare tale condizione clinica è necessario che gli episodi si verifichino almeno tre volte a settimana e persistano per almeno tre mesi, nonostante vi siano adeguate condizioni per dormire.

L’INSONNIA: cos’è e come si presenta?

Per insonnia si intende l’incapacità a dormire di notte anche in presenza delle condizioni per avere un sonno adeguato.

Il disturbo deve verificarsi frequentemente e per un certo periodo di tempo e ad esso devono seguire conseguenze evidenziabili nella giornata successiva come stanchezza, malumore e difficoltà cognitive.

Spesso le persone che soffrono di insonnia riscontrano:

  • difficoltà ad iniziare il sonno
  • risvegli notturni frequenti
  • risveglio finale precoce, cioè fortemente anticipato rispetto all’orario programmato