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NEUROPSICOLOGIA FORENSE: la circonvenzione d’incapace

 

 

La circonvenzione d’incapace dal punto di vista del neuropsicologo forense

La consulenza tecnica in tema di circonvenzione d’incapace rappresenta uno degli accertamenti più frequenti nel lavoro forense del perito psicologo. L’aumentare dell’età media di vita fa incrementare i casi in cui le scelte economiche di un soggetto, soprattutto se anziano o connotato da disturbi psichici, possono essere poste in discussione.

In tal caso, pertanto, ci si occuperà di svolgere un’indagine su chi si pensa essere la vittima del reato e non sull’autore dello stesso, con l’obiettivo di valutare se la possibile vittima possa essere stata indotta, a compiere una scelta non secondo la propria volontà, ma quella di altre persone. Ci si riferisce in tal caso soprattutto a situazioni nelle quali, secondo il richiedente l’indagine peritale, le conseguenze della decisione presa dalla vittima sarebbero state sfavorevoli per gli interessi della stessa.

Nello specifico il neuropsicologo parte dal presupposto che la capacità di agire presupponga l’integrità e l’esercizio efficace di una vasta famiglia di funzioni di natura cognitiva, emozionale e sociale. A loro volta tali funzioni sono riassunte nella capacità di provvedere ai propri interessi o in quella di intendere e di volere, altre espressioni analoghe sono quelle di capacità decisionale, capacità mentale e capacità di autodeterminazione. Una persona è considerata capace quando possiede i requisiti fondamentali grazie ai quali non si trova semplicemente ad agire, ma possiede delle ragioni per agire ed è in grado di comunicarle ad altri (Cantagallo, Spitoni, & Antonucci, 2013).

I meccanismi il cui corretto funzionamento è alla base della capacità di agire, sono: attenzione, memoria, linguaggio, orientamento e funzioni più elevate quali ragionamento, capacità di prendere decisioni e monitoraggio cosciente del funzionamento cognitivo stesso (meta cognizione). Queste ultime sono dette funzioni esecutive, ovvero funzioni cognitive che permettono al soggetto di svolgere compiti complessi che richiedono la valutazione della situazione, delle risorse a disposizione e delle possibili scelte sulla base dei propri scopi ed interessi, nonché la valutazione delle possibili conseguenze di ogni eventuale decisione presa.

 

 

I DSA: la dislessia

 

 

 

 

 

 

Oggi parliamo della dislessia evolutiva!!

La dislessia è nota come disturbo della lettura, che risulta facilmente osservabile, soprattutto perchè il bambino, mostra una lettura lenta, stentata e sono presenti, spesso, errori di diversa natura. In parole povere, il bambino con dislessia non legge in maniera “automatica”. In questi bambini, si possono osservare:

  • omissione di lettere e parole in lettura (mentre legge salta alcune parole o legge le parole in maniera incompleta);
  • è più lento nella lettura anche se il carico scolastico non aumenta;
  • ha difficoltà a ricopiare un testo scritto alla lavagna;
  • mostra più difficoltà nell’acquisizione di una lingua straniera

Le difficoltà che portano un genitore , in seguito a quanto riportato dal figlio stesso, dalle insegnanti, o per sua osservazione, a sospettare che possa essere presente un disturbo della lettura, possono variare in base all’età del/la bambino/a o ragazzo/a. Seppur una diagnosi di dislessia, possa essere confermata a partire dalla fine della seconda elementare, anche all’ingresso nella scuola primaria e già dalla scuola dell’infanzia, o ancor prima, i genitori possono notare alcune difficoltà, quali:

  • più lento sviluppo del linguaggio;
  • difficoltà nel ripetere una parola nuova appena ascoltata.

Il bambino dall’inizio della scuola elementare deve sempre avere a fianco un adulto nell’esecuzione dei compiti ed è molto lento in essa.

L’ANSIA: IL MALE DEL XXI SECOLO

Fermiamoci a pensare a quante volte nel corso della nostra vita abbiamo provato ansia. Meglio forse non pensarci per evitare che ci venga l’ansia?

Ma in psicologia clinica cosa si intende per ansia?

L’ansia è definita come il senso di apprensione e di preoccupazione che si prova nel prevedere un determinato problema. L’ansia è spesso accompagnata da sintomi di natura fisiologica e non solo quali elevata sudorazione, battito cardiaco accelerato, ipervigilanza sull’ambiente circostante, irrequietezza, rimuginio di pensieri e difficoltà di concentrazione. La persona può provare ansia per un determinata situazione perché in passato una simile condizione ha causato sensazioni o vissuti spiacevoli oppure semplicemente perché si immaginano e si temono conseguenze negative rispetto a quella determinata circostanza. Esistono diversi disturbi ricollegabili alla grande cornice dei disturbi d’ansia quali le fobie, i disturbi di panico, l’ansia da separazione, l’ansia sociale ecc…

Ma cosa c’è realmente alla base dei disturbi d’ansia?

Nel quotidiano affaccendarci nelle varie occupazioni della vita quotidiana quante volte sentiamo il nostro corpo e lo percepiamo davvero? Nelle situazioni di normalità quando non stiamo affrontando una situazione particolarmente stressante o ci desta preoccupazione, il nostro corpo quasi non viene avvertito e non abbiamo consapevolezza della sua esistenza. Quando invece ci troviamo di fronte a qualcosa che per noi è fortemente identitario (che riguarda gli aspetti della nostra vita per noi di maggior valore e che ci tengono in piedi), improvvisamente l’indifferenza verso il corpo si trasforma in focalizzazione su di esso. Da qui l’emergere dei sintomi sopra descritti che, se non gestiti, possono portare allo sviluppo di un circolo vizioso dove le conseguenze di un evento causano l’ansia e l’ansia a sua volta causa le conseguenze di quell’evento fino alla manifestazione di emozioni totalmente sganciate dalla situazione reale.

Perché ci sono persone più ansiose di altre e perché si prova ansia in alcune circostanze e non in altre?

Sono principalmente due i fattori da tenere in considerazione nello sviluppo della sintomatologia ansiosa:

  1. Ognuno di noi ha diverse aspirazioni, diverse necessità e bisogni e diverse preferenze. Ad esempio, se una persona mira e investe tutte le proprie energie nello sviluppo di una brillante carriera lavorativa potrà provare ansia in previsione di un colloquio di lavoro o in vista del superamento di un esame universitario o di un concorso. In questo caso è possibile ritenere che l’ansia non colpisce tutti allo stesso modo e nelle stesse situazioni;
  2. Ognuno di noi può avere la tendenza a focalizzarsi su se stesso oppure sull’ambiente esterno. Ad esempio se una persona mantiene la propria stabilità personale basandosi sull’ambiente esterno e sull’approvazione di chi la circonda avrà meno la tendenza a focalizzarsi sul proprio corpo e quindi sarà meno soggetto allo sviluppo di una sintomatologia ansiosa. Questo non significa che tali soggetti siano immuni all’ansia ma probabilmente la proveranno, in particolare, quando l’alterazione dei segnali corporei che oltrepassano la soglia di accettabilità consegue a una valutazione di sé proveniente dalle altre persone, dal contesto e dalle situazioni esterne.

 

Inoltre, nello specifico periodo storico che stiamo vivendo ben poche persone potranno affermare di non avere mai provato sensazioni corporee o messo in atto comportamenti riconducibili all’ansia. La vita frenetica fatta di scadenze, il fatto di essere continuamente sotto osservazione sia a causa dello sviluppo della tecnologia, sia per l’elevato livello di competizione socio-lavorativa attuale rende i sintomi ansiosi tra i disturbi maggiormente lamentati del XXI secolo.

IL RUOLO DEL CORPO NELLA RELAZIONE CON L’ALTRO

 

 

 

La situazione che abbiamo vissuto e che stiamo, in parte, ancora vivendo a causa della pandemia ci ha messi in difficoltà, oltre che per la paura e il timore della malattia stessa anche per una serie di conseguenza legate ad essa. Infatti, fin dall’inizio ci siamo visti costretti a subire decisioni prese da altri e molte delle situazioni sociali a cui eravamo abituati si sono ridotte, sia per le restrizioni, sia per la paura del contagio. Ecco perché o a causa dell’eccesso della presenza dell’altro (inteso come le altre persone, il mondo esterno) o della notevole riduzione della presenza dell’Altro, ci destabilizziamo e dobbiamo trovare un modo per percepirci. Le emozioni e le sensazioni, infatti che proviamo solitamente emergono dall’essere in uno specifico contesto, ed eventualmente in una specifica relazione interpersonale.

 

 

Per alcuni di noi non potersi muovere secondo la propria volontà o non poter prendere decisioni in totale autonomia, può portare all’assottigliamento del senso di autodeterminazione. Questo fa sì che si giunga al punto di avvertirsi come diretti dall’altro, così come un regista dirige un attore, il quale esegue ma non decide cosa fare. In tal caso l’eccesso di alterità rappresentata da chi per noi decide (in questo caso il virus e di conseguenza le autorità)si intreccia con una dimensione autonoma che necessariamente resta nascosta; l’avvertirsi attori delle proprie azioni e dei propri comportamenti e non autori degli stessi, si accompagna a una percezione di invasività da parte dell’altro e di annullamento di sé. Se dunque il senso di essere autori della propria esperienza si regola grazie anche alla presenza dell’altro, quanto più forte è la percezione di invadenza, tanto maggiore sarà il bisogno di fronteggiarla. Per questo motivo, talvolta, ci buttiamo su ciò che ci consente di percepire maggiormente il nostro corpo come ad esempio cibo, intensa attività fisica….

 

 

D’altro canto anche la riduzione della percezione dell’alterità, a causa del senso di incertezza derivante dalla mancanza dell’approvazione dell’altro può generare un senso di esperienza personale, che ci appare incompleta sia nel valore che nella qualità. Il caso della solitudine, della tristezza o del vuoto in seguito ad un distacco (che può derivare da una rottura affettiva, dalla perdita del lavoro ecc..) possono esserne un esempio. Anche in questo caso uno dei modi per regolare questo senso di insufficienza personale è attraverso il corpo. Sentirsi attraverso il corpo consente di spostare il bisogno di alterità sul corpo stesso e di restituirci anche solo per un po’ di tempo quel senso di sicurezza di cui l’allontanamento dalle situazioni sociali ci ha in parte privato.